2016/05/17

Alberto La Neve, Nemesi



E Nemesi sia, dunque: parola poco traducibile, se non per mezzo di una circonlocuzione; ci accontentiamo, dunque, di pensarla come la giustizia riparatrice.

Tra sax tenore, sax soprano e marchingegni vari (loop ed effetti) il buon Alberto La Neve (Cosenza, 1981) ci conduce nel suo personale microcosmo compositivo/improvvisativo.

Il primo brano Orpheus ci accompagna per mano, anello dopo anello, in una spirale che ingannandoci ci rasserena e rasserenandoci ci inganna. E’ un tema dal tono ancestrale e materno, ricolmo di ferma dolcezza.

Poi andiamo su Goban (che, imparo consultando la Wikipedia, altro non è che la scacchiera per il Go, gioco di strategia cinese). E qui l’inquietudine sale, dato che ci perdiamo nelle infinite combinazioni, nel labirinto di mosse, ma senza un Dedalo che ci cavi d’impaccio.

Poi è la volta di Nautilus che in greco (questo me lo ricordo a memoria) indica sia la nave che il marinaio.

La traccia Nemesi, a questo punto, non ci coglie impreparati, avendo ormai preso confidenza col lessico dell’Autore: si tratta sempre di una costruzione di strati che si impilano gli uni sugli altri, un gioco di equilibri che si risolve sempre con l’eleganza di un suono molto curato e di frasi calibrate ed accurate.

Poliphemus è una sorta di canone, solenne ed incombente, che vira verso direzioni inaspettate ed anche, a tratti, un po’ drammatiche.

Per chi ha amato i romanzi di Pennac il personaggio di Monsieur Malaussene non ha segreti: un po’ sfigato, capro espiatorio, appassionato, umano troppo umano come avrebbe detto Friedrich Nietzsche; c’è sempre e comunque un filo rosso di malinconia.

Ci accomiatiamo sulle note di Baba Jaga “strega” in russo. Il personaggio sonoro disegnato dal Nostro è caricaturale, tronfio e pieno di sé: un brano ironico, una marcetta divertente ed impettita.

Cosa dire, dunque? Si tratta di materiale originale, sperimentale, degno di rispetto, suonato bene; certo non siamo di fronte a temi di facile ascolto, anche se non mancano tratti divertenti. Una cosa darei per certa: l’incondizionato amore per gli strumenti suonati, dilatati in tutte le direzioni possibili e questa non è cosa da poco.


Marco Lorenzo Faustini, 2016 

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